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Mi è rivenuta tra le mani questa testimonianza sul Murialdo e la condivido volentieri
“Fra i ragazzi che frequentavano l’Oratorio di S. Luigi, ce n’era uno soprannominato dai compagni il “Mutolino”. Era sordo e muto. Piccolo, magro e un po’ storpio, era sempre solo, non aveva amici, non rideva mai. Passava ore e ore ad osservare gli altri ragazzi che correvano, che giocavano, che si divertivano. Qualche monello derideva la sua disgrazia ed il “Mutolino” diventava sempre più triste. Appena il Murialdo si accorse di lui, lo accostò subito, lo voleva sempre vicino, si soffermava a giocare con lui. Con pazienza cercava di comprendere le tante cose che il ragazzo voleva esprimere. Divenne il suo grande amico e protettore: nessuno lo prese più in giro. Aiutò anche la sua famiglia che era in grande miseria e volle prepararlo alla Prima Comunione facendogli catechismo da solo“.

Notate le parole: attenzione, amicizia, pazienza. Era sempre solo quel ragazzino, non aveva amici, non giocava e non rideva mai. Ditemi, cosa c’è di più triste di un bambino che non ride mai? E quant’è triste notare la cattiveria di chi prende in giro i difetti fisici senza rendersi conto del male che fa! Questo episodio, mi riporta indietro di tantissimi anni. Anch’io ho conosciuto un bambino così: sordomuto. Aveva nove anni, si chiamava Sergio, anzi Sergino, perché anche lui era piccolo e magro. Trascurato purtroppo nell’ambiente scolastico (ed era una scuola specializzata!), era timido e introverso. Venne accolto come “ospite”, naturalmente col consenso dei suoi, nella famiglia di nostri conoscenti. Gli sono stata vicina anch’io, invitandolo a casa nostra, o al cinema o ad una passeggiata. Lo aiutavano per i compiti, lo accompagnavano a scuola e lo riprendevano alla fine delle lezioni. Aveva una “famiglia” attorno! Coccole tante da tutti! I suoi erano felici e grati per questa soluzione. Vivevano in una cittadina non lontana da Milano, tutti impegnati nella loro piccola azienda, ma se lo portavano a casa per i finesettimana. In poco tempo il suo carattere ne aveva giovato: allegro, simpatico e, a modo suo, “chiacchierone”. Gli sforzi per capirlo diminuivano man mano e l’intesa aumentava sempre più. Con affetto, con pazienza e… con gioia! Dopo le elementari, rientrò in famiglia. Lo ricordo ancora con affetto speciale. Ecco perché sono entrata nello spirito di questo racconto e posso capire bene l’amorevole opera di bontà del Murialdo nei confronti del “Mutolino” e la gioia di quel bambino a sentirsi compreso e amato. Sfortunato, sì, per il suo handicap, ma fortunato a incrociare la sua strada con quella del Murialdo. Un forte insegnamento che suggerisce di dare più spazio nel nostro cuore alla sensibilità, alla comprensione e soprattutto al rispetto per i meno fortunati.

Don Marco Dematté