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È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.

(Da Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry)

A Cipì Haus ogni bambina e ogni bambino arriva con una propria storia di vita che è unica nel suo manifestarsi. Anche le educatrici e gli educatori entrano in questo contesto con un loro bagaglio personale.

Queste due figure si incontrano in questa Comunità mostrando la loro singolarità. Allo stesso tempo condividono delle strategie educative che aiutano entrambi ad aver cura. Mostrano interesse per l’altro e per la propria attività. Predispongono l’altro a ricevere cura, ad essere accolto e ascoltato, a sentirsi parte del contesto in cui vive o lavora.

Luigina Mortari nel 2019 scriveva:

Quando si parla di cura si intende cura di sé, dell’altro e del mondo circostante.

L’aver cura pone dunque un ponte, un legame che unisce educatrici ed educatori alle bambine e ai bambini che accudiscono. Si crea un mutuo scambio, fatto di condivisione sia rispetto alla fatica sia rispetto alla conquista di ogni traguardo raggiunto, grande o piccolo che sia. La relazione di cura, quindi, può essere intesa come un particolare modo di essere in relazione, caratterizzato da attenzione, impegno, motivazione, ma anche dal riconoscimento che qualcuno si sta prendendo cura dell’Altro.

Tra i gesti di cura che vengono utilizzati presso Cipì Haus c’è innanzitutto la parola. La parola, come ha affermato recentemente in un intervista la psicologa e psicoterapeuta Stefania Andreoli (2023), cura, forma, racconta, ama, raddrizza, uccide.

Le parole vengono utilizzate con le bambine e i bambini per aiutarli a verbalizzare non solo quello che vogliono fare, ma soprattutto come si sentono. Nel soggiorno di Cipì Haus c’è un bellissimo cartellone delle emozioni, e per ogni emozione è stato scelto un colore che la rappresenta. Questo cartellone aiuta educatrici ed educatori ad accompagnare gli accolti a comprendere le loro emozioni. Ma non solo. È utile anche alle bambine e ai bambini al fine di identificare e individuare come si sentono e quali strategie poter mettere in atto per esprimere al meglio le proprie emozioni o i propri stati d’animo.

Questo tipo di cura richiede a educatrici ed educatori tempo ed energie. È volta a identificare e soddisfare i bisogni altrui, ma senza annullare la propria soggettività. La bambina o il bambino a cui sono rivolte le cure non viene messo nella condizione di totale dipendenza dall’educatrice o dall’educatore. Piuttosto viene accompagnato a provvedere da sé ai propri bisogni, rendendolo capace di trovare il proprio spazio all’interno della Comunità.

In questo senso, aver cura viene inteso come una pratica che mira a procurare il bene nell’altro e allo stesso tempo metterlo nelle condizioni di provvedere al proprio ben-essere. Ciò significa mettere al centro la bambina o il bambino accudito, promuovendo la sua soggettività, offrendo l’occasione di potersi realizzare liberamente secondo le proprie risorse, le proprie possibilità e le proprie aspirazioni.

L’aver cura si vive ogni giorno ed è importante che anche l’educatrice o l’educatore non si esaurisca nella fase in cui c’è più bisogno del suo accudimento, ma che lui stesso si prenda cura riflettendo su come si prende cura, curandosi di sé stesso, poiché anche chi cura ha bisogno di cura, come afferma Stefania Andreoli (2022).

Michela, educatrice di Cipì Haus