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Come presentavo nella newsletter di aprile, alcuni mesi fa ho avuto l’occasione, e quindi la gioia, di vivere alcune giornate di spiritualità a Torino, al Collegio Artigianelli. Qui il Murialdo ha vissuto per 44 anni, al servizio della gioventù povera ed abbandonata in quel momento storico particolare.

Come dicevo, ho avuto modo di visitare il museo che raccoglie il percorso di vita del Murialdo e mi sono fermato in particolare nella sua stanza personale, composta dallo studio e dalla camera da letto dove è morto il 30 marzo 1900.

Questa parte di stanza raccoglie il suo letto in ferro, un comodino, una poltroncina e un armadio. Sopra il letto un maestoso Crocifisso. Alle parteti spiccano alcuni quadri. Uno raffigura la Madonna Consolata di cui, da buon torinese, era tanto devoto. Un quadro è particolare perché rappresenta una croce sulle cui braccia sono scritti i 4 Novissimi (morte, giudizio, inferno, paradiso). Infine c’è una foto che lo ritrae subito dopo la morte.

Tutto questo mi ha portato a riflettere sulla vita di questo santo, sulla quotidianità della sua esistenza.

Lavorava, si dava da fare, si impegnava per i ragazzi, per promuovere la fede e la carità, per annunciare il vangelo. Trovava anche tempo, come ci sembra logico, per un meritato riposo dopo le fatiche giornaliere, come tutti noi. Così aveva modo di ritemprare le energie per poter riprendere le forze, per attuare la sua missione.

Ha usato il letto, prima di addormentarsi, oltre che per dormire, per leggere alcuni libri, (forse a fare anche parole crociate?), sia per rilassarsi, sia per riprendere alcuni approfondimenti e temi che durante il giorno gli sono mancati, tutto preso com’era dalle attività in favore dei giovani.

Sono stati anche momenti di riflessione e di preghiera personale. Con quelle scritte sopra il suo letto (i 4 Novissimi) avrà sicuramente pensato ai tanti perché della sua vita, al suo fine e scopo, alla sua fine, al suo compimento. Forse avrà avuto anche paura di non farcela, di essere inadeguato nel vivere il Piano di salvezza di Dio e a realizzare il suo Progetto d’Amore.

Si è sicuramente, come faceva sempre, affidato alla grande misericordia di Dio.

Sappiamo che dal 1884 ha sperimentato per settimane e a diverse riprese, il fastidio di una broncopolmonite che lo ha portato poi alla morte. Questo gli ha fatto sperimentare il valore della sofferenza vissuta come risposta d’amore, della pazienza, della sopportazione della malattia e poi dell’anzianità, dell’accoglienza delle cure portate da dottori e dalle diverse persone che si preoccupavano della sua malattia, come anche la visita di confratelli, di amici come Giovanni Bosco, di ragazzi e giovani che portavano il loro affetto e riconoscenza per il tanto bene ricevuto

E questo è anche il luogo da dove la notte del 30 marzo 1900 ha incontrato personalmente Dio Padre buono e misericordioso, che lo ha abbracciato e gli ha detto: “Vieni, benedetto, a far parte della mia famiglia nella mia casa di luce e di pace”.

don Marco Demattè